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Giuseppe Garibaldi: l’animalista che ha fatto l’Italia
Articolo del 16 marzo 2011
Per uno storico considerare il grande marinaio e rivoluzionario un animalista potrà apparire un po’ blasfemo. Così come per un animalista appare forse eccessivo considerarlo tale. Eppure Giuseppe Garibaldi non è stato solo il famoso conquistatore che abbiamo studiato sui libri di scuola. Non tutti sanno che è stato anche colui che ha fondato la prima associazione per la protezione degli animali in Italia.
di Massimo Comparotto, Presidente OIPA Italia
Giuseppe Garibaldi (Nizza 1807 – Caprera 1882) figlio di un capitano mercantile, fu avviato giovanissimo alla vita di mare e più avanti, fallito un moto rivoluzionario, fu costretto a fuggire prima in Francia e poi in America latina dove combatté al fianco dell’insurrezione repubblicana a Rio Grande contro il governo imperiale brasiliano. Garibaldi partecipò combattendo valorosamente anche per l’indipendenza dell’Uruguay contro l’Argentina. Dopo essersi sposato con Anna Maria Ribeiro (Anita) nel 1848 partecipò alla I guerra per l'indipendenza italiana ma la successiva morte della moglie e nuove sconfitte lo indussero nuovamente a fuggire in America. Tornato in Italia si convinse a collaborare con la monarchia combattendo nella lotta allo straniero a fianco dell'esercito regolare nella II guerra d’indipendenza. Nel 1860 organizzò la leggendaria spedizione “dei Mille”, partendo da Quarto per sbarcare a Marsala, in Sicilia. Questi furono gli anni dei trionfi che presto lo portarono a risalire la penisola fino alla conquista di Napoli, consegnando così l’Italia che si andava formando a Vittorio Emanuele. Nuovo obiettivo divenne poi la liberazione di Roma. Garibaldi tentò di ripetere contro lo Stato Pontificio la fortunata impresa dei Mille, scegliendo come base del movimento la Sicilia, ma intervenne la minaccia di un'azione di Napoleone III e il governo italiano dovette stroncare l'iniziativa garibaldina. Successivamente riportò alcune sconfitte militari, tra cui la più memorabile fu quella di Mentana contro lo Stato Pontificio. Per costrizione e per scelta trascorse gli ultimi anni della sua vita nella sua amata isola di Caprera che riuscì ad acquistare per intero. Acquietati i suoi moti rivoluzionari, a Caprera si dedicò ai temi della democrazia e della questione sociale, oltre che ai suoi innumerevoli interessi culturali. Tra questi, quello che ci interessa in modo particolare fu il suo rapporto di profondo rispetto nei confronti degli animali. Nel 1871 a Torino, Giuseppe Garibaldi, Anna Winter e Timoteo Riboldi fondarono la “Società Protettrice degli Animali” che successivamente, negli anni, è diventata l’Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali). Lo scopo dell’associazione era quello di difendere gli animali dai maltrattamenti loro inflitti. Da quanto siamo venuti a sapere dall’Enpa, per gli storici, l’atto che sancisce la volontà fondativa della “Società protettrice degli animali” è una lettera che Garibaldi scrisse il 1° aprile del 1871 da Caprera. La lettera era indirizzata a Timoteo Riboldi, medico personale di Garibaldi, nella quale si chiedeva a Riboldi di predisporre gli atti necessari per fondare la società, la cui presidenza onoraria sarebbe dovuta andare alla signora Anna Winter. “La nostra società – dirà Riboldi poche settimane dopo – non si occuperà mai né di politica né di religione, ma solo di proteggere gli animali contro i maltrattamenti, come mezzo di educazione morale e di miti costumi”. I soci, che si distinguevano in effettivi, benemeriti ed onorari, dovevano portar: “un distintivo per farsi conoscere e rispettare dai conduttori genti municipali e dalla forza pubblica, onde aver diritto di ammonire i trasgressori e mano forte contro di essi a denunziare alle rispettive autorità i trasgressori punibili con: multe, sequestri dei veicoli, arresto personale”. Non deve stupire che fu proprio Garibaldi a fondare la prima associazione per la protezione degli animali. Egli fu un uomo pervaso da forti e nobili ideali di giustizie e libertà che lo portarono a combattere contro la schiavitù, per l’abolizione della pena di morte e successivamente anche per la pace e la fratellanza fra tutte le nazioni del mondo. Per certi aspetti può apparire strano e contraddittorio considerare Garibaldi come un pacifista. Un uomo che aveva combattuto letteralmente per mari e per monti in mezzo mondo non può certo definirsi un cultore della pace e della non violenza. Così come appare contraddittorio il fatto che Garibaldi fu anche un accanito cacciatore: “Talvolta abbatteva diverse centinaia d’uccelli al giorno e i magnati del posto gli organizzavano cacce al cinghiale”. Ma il punto nodale non è considerare Garibaldi per quello che è stato ma per quello che è diventato. Ognuno di noi può compiere un passo verso il cambiamento ed è chiaro che compiere questo passo in età avanzata è certamente più difficile che compierlo in giovane età. Ma Garibaldi amava le sfide, tutte le sfide, e credo non ci sia sfida più grande di quella che riguarda il nostro modo di vedere le cose e di guardare nel profondo della propria anima. Garibaldi fece questo passo e lo fece nella giusta direzione: quello dell’amore e del rispetto per la vita di tutte le creature. Per questo è lo stesso Dennis Mack Smith nella biografia su Garibaldi edita da Mondadori che ci racconta: “Più tardi si fece sempre più vegetariano; lo stretto contatto con la solitaria natura gli diede l’eccentrica [secondo l’autore, n.d.r.] credenza che gli animali e perfino le piante avessero un’anima cui non si dovesse nuocere”.
Fonte: www.oipaitalia.com